FONDALI
ORIZZONTI
Scenografie e pitture per il palcoscenico
Antonio Panzuto apre al pubblico il suo studio per un’esposizione delle pitture utilizzate come fondali teatrali.
Nello spazio dell’atelier di via Pastro, a Padova, si snoda un percorso che riunisce opere di pittura e scultura con le arti sceniche, in un connubio che sintetizza la poetica dell’artista.
Studio aperto
Atelier Panzuto, via Pastro 7/A, Padova
lun/sab 10-12, 16-19
info@antoniopanzuto.it – 049-773111
consigliata la prenotazione
FONDALI
ORIZZONTI
Scenografie e pitture per il palcoscenico
con la collaborazione di
Alessandro Tognon
Paolo Pollo Rodighiero
Fondali è una mostra nata dalle mani, strumento primario, impastate dai colori e dalle quali non posso distaccarmi.
Mescolati o stesi puri sulle tavole, i colori portano sempre verso il teatro, intimo o pubblico, costruito con la vaga sicurezza che io gli attribuisco.
Punto di partenza è la linea dell’orizzonte che si alza sempre più, che si sposta a cercare l’infinita prospettiva che vedono gli occhi. L’inquadratura giusta è decisa da sfumature e tonalità che ne determinano la tensione interna.
Ascolto bene i miei sogni e le mie riflessioni, le domande impossibili e i registri più segreti: questo progetto contiene l’inquietudine di un corridoio pieno di finestre, di appunti e propositi tanto impellenti quanto traballanti.
Sul palcoscenico le parole diventano ambienti, dove la pittura arriva prima di qualsiasi altro alfabeto.
È un percorso più facile se lo cerco tra quelle pagine, perché è da sempre il luogo dove lavoro, la chiave
concettuale che utilizzo per aprire il mondo.
Perché?
Nel teatro vivono i miei pensieri pittorici: sono gli “open place” di Macbeth o i paesaggi irrisolti di Sogno di una notte di mezza estate, sono le stanze vuote di Samuel Beckett e le spiagge tempestose di Virginia Woolf.
In questa materia la scena è ancora senza drammaturgia.
Contiene gli elementi e i codici che trasformano le parole in territori astratti e li fissa nella memoria.
È come cercare brani di conversazioni incomprensibili con i gesti, quando è così semplice trattarli con una matita.
Non inseguo sensazioni sconosciute, ma angoli che riconosco e distinguo seduto sui miei gradini, per far risaltare i profumi, le ombre, le risonanze e i dislivelli.
Intuisco.
L’illuminazione di spazi così dissolti e imprecisi è essenziale, essi vivono di luce solare e di luce elettrica come le mani e la loro energia.
Gli occhi che guardano diventano irrequieti quando la luce li attira.
La luce proietta, come presagi, le percezioni sulla materia del colore e diventa strumento di contatto con il pubblico.
Spero che emerga il necessario e non il resto.
In tali condizioni manca la figura umana, perché l’attore è ancora dietro le quinte e il palcoscenico diventa performance e installazione: lo spettatore si immerge e affonda nel colore, materia che mostra l’immateriale.
Quando riproduco con la videoproiezione questi Fondali sulla grande scala del teatro, non faccio che
semplificare e precisare l’intuizione: in fondo la tecnologia mi permette di camminare con più facilità sulle spiagge dell’immaginazione, offrendo nuove gradazioni e differenti tonalità espressive.
Alla fine, un computer non è che il prolungamento del gesto della mano.
E tutto questo per me è bellissimo.