WORDSTAR(S)
di Vitaliano Trevisan
scene Antonio Panzuto
costumi Gianluca Falaschi
musiche Marco Podda
luci Pasquale Mari
regia Giuseppe Marini
con Ugo Pagliai, Paola Gassman, Paola Di Meglio, Alessandro Albertin
produzione Teatro Stabile del Veneto
Debutto 20 ottobre 2011 Teatro Goldoni Venezia
APPUNTI DI SCENOGRAFIA
Un uomo vecchio, in pigiama, nella sua stanza, mentre guarda sotto il letto alla ricerca del tagliaunghie, con gli occhiali sulla punta del naso e una bombola ad ossigeno a fianco del letto, pronta all’uso. Una lampada da tavolo sul comodino, un’armadio, una specchiera…e altri oggetti sparsi sul tappeto.
Poi sul comodino spunta la testa di Billie, l’amante di sempre: è una lampada da tavolo; dentro l’armadio Susanne, la moglie, intenta a cucire.
Nessun quadro alle pareti.
Niente di più realistico tra le note dell’autore.
Poi un salto, nel tipico mondo Beckettiano, dove spesso gli attori sono seppelliti tra i rifiuti o sotto la terra, inscatolati come le parole. Questa volta Trevisan li nasconde come fantasmi tra i vestiti, li chiude in un frigorifero o li lascia sospesi vicino al letto, trasformati in lampade.
Un’immagine fantastica. E un contrasto fortissimo che ci ha subito messo in contatto con le immagini di Francis Bacon altro immenso artista che chiudeva i suoi personaggi e i suoi ritratti devastati e irriconoscibili, in architetture lineari, rigide e complesse.
E subito ci è apparso il complesso lavoro di ricucitura da fare nel mondo di questo testo, tra un mondo surreale e un luogo estremamente legato al realismo ed alla quotidianità. Queste le premesse che mi hanno guidato nella messa in scena di Wordstar(s) .
Il realismo è scomparso, lo abbiamo lasciato solo negli oggetti, il letto, la maschera ad ossigeno, la poltrona, il tavolo scrittoio giallo, e poi abbiamo ricreato i due ambienti, la stanza del suo appartamento parigino e la stanza dell’ospedale per anziani, come fossero due pitture. Un fondale a chiusura del muro ed un praticabile inclinato con un pavimento dipinto, a pennellate larghe e costanti, fortemente pittorico che potesse facilmente prendere pennellate di luce e non definite. Ci siamo ritrovati dueluoghi molto simili ai quadri di Bacon, chiusi in un universo pittorico/surreale/realistico.
Alcuni passaggi sono stati realizzati pensando ai suoi quadri. Studiando alcune scene come quelle in cui lo scorrere del tempo corrisponde quasi al varco di una soglia verso i ricordi degli anni passati, ci è stato assai di suggestione il quadro del 1949 Study for the Human Body che vede un corpo umano rarefatto entrare attraverso una tenda in un o spazio nero e sconfortante. In scena abbiamo costruito le pareti fatte di tela, sottile raggrinzata e increspata, che permettesse all’attore di entrarci dentro quasi scomparendo. E dall’altro lato immagini e ricordi affiorano, suggestivi e impalpabili.
E poi le due co-protagoniste in scena, nascoste abilmente nel comodino o nel frigo, sentite ma non viste, capaci di dialogare e litigare, fisse e immobili. Pitture.
NOTE DI REGIA
Sebbene poco incoraggiata, quando non decisamente maltrattata, la nostra drammaturgia contemporanea mostra, malgrado tutto, importanti segnali di vitalità da cui si stagliano delle punte avanzate di cui vale la pena occuparsi.
Un plauso e un ringraziamento particolari, dunque, al Teatro Stabile del Veneto e al suo direttore per questa esemplare e significativa controtendenza.
Wordstar(s) di Vitaliano Trevisan è, lo affermo subito e con imprudente faziosità, un testo importante, a suo modo, un classico. In primo luogo per la sua qualità meta-testuale e metadrammatrica, capace di fare del medium usato il proprio tema e la propria narrazione. Il linguaggio e la scrittura diventano, in modo autoriflessivo, materiale del racconto, la forma stessa diventa sostanza narrativa.
Ulteriore motivo di originalità e fascinazione, Wordstar(s) è scritto senza punteggiatura e con gli ‘a capo’ tipici delle strutture versali e funzionali alla proposta di una lingua artificiale, ricreata in provetta, che aspira a farsi distillato purissimo, partitura.
L’artificio è tuttavia così abilmente condotto e sorvegliato da conservare al linguaggio il suo simulacro di quotidianità.
A ribadire la centralità tematica della scrittura, insieme al titolo (WORD oltre al suo significato in inglese – parola – è anche, nel linguaggio del computer, un programma di scrittura) lavora un sottotitolo, altrettanto suggestivo: ritratto di scrittore come uomo vecchio (mi è parso subito il titolo di un quadro di F. Bacon e questa forte suggestione non ha mancato di reclamare i suoi diritti e le sue urgenze in sede scenografica, nei costumi, nell’uso della luce e del colore, appunto, alla Bacon).
Ma è la scelta dello scrittore a chiudere coerentemente il cerchio di questa profonda meditazione sulla scrittura.
E quale altro scrittore se non Samuel Beckett, che ha dedicato (sacrificato) l’intera esistenza alla sua irriducibile ossessione per il linguaggio e che ha spinto la letteratura e il teatro al limite delle loro (im)possibilità espressive, portandole al collasso per usura. Lo scrittore che, partendo dal presupposto che l’immaginazione è morta e la vena creativa esaurita, corteggia l’idea della fine della letteratura e della parola che si stempera nel silenzio da cui trae origine e a cui vuol fare ritorno. Lo scrittore più fedele all’idea dell’arte come fallimento inevitabile (“essere artista è fallire – scriveva – così come nessun altro ha il coraggio di fallire” o ancora “nessuna capacità di esprimere… insieme all’obbligo di esprimere”).
Tenendosi al riparo dalla cronistoria o dalla biografia teatralizzata, Wordstar(s) narra (con libertà immaginativa che ha consentito possibili e pertinenti pennellate bernhardiane nella composizione del ritratto) gli ultimi giorni – o forse ore – di vita del grande scrittore, colto nella sua quotidianità comicamente scandalosa. La vertigine del pensiero e il tormento creativo dell’artista si coniugano con la tragicomica goffaggine dell’uomo, letteralmente in mutande, e di un corpo, cervello compreso, che va in malora e che impedisce le più elementari attività quotidiane, come tagliarsi le unghie dei piedi.
Al flusso monologante del protagonista fanno da contrappunto le due figure femminili di Suzanne e Billie – la moglie e l’amante – che nel loro chiacchiericcio post mortem, logorroico e delirante, sembrano proprio (e così le ho trattate registicamente) due creature beckettiane nel loro teatrino purgatoriale… così da avere sullo stesso palcoscenico lo scrittore e il suo teatro in un alternante doppio registro con cui, a mio avviso, respira il testo-spettacolo.
Analogo trattamento, un po’ meno marcato, per la figura del giornalista-professore-biografo Knowson, che vagheggia fortune editoriali sulla vita di Samuel.
Ringrazio ancora chi ha ritenuto di dover affidare a me la cura registica di questo atto di nascita. Nel farlo ha forse tenuto conto di quella sorta di primo amore per il gigante irlandese come nulla osta ad occuparsi di Wordstar(s), o, forse, per favorire un avvicinamento di due beckettiani incalliti, quali Trevisan e me…
E grazie a Ugo Pagliai che ha immediatamente creduto nel progetto abbracciandolo col coraggio e la spericolatezza del grande artista della scena… anche se abbiamo immediatamente escluso di lavorare in maniera mimetica alla costruzione di questo ritratto, fare Beckett non era uno scherzo… guardatelo e ascoltatelo: una meraviglia.
Giuseppe Marini
NOTE DELL’AUTORE
WordStar, il più diffuso programma di scrittura prima dell’avvento di Microsoft Word. Niente più stelle, solo parole.
Allo stesso modo, come un programma di scrittura ormai obsoleto, si spegne un vecchio scrittore, Samuel – direttamente ispirato alla figura e alla biografia di Samuel Beckett – , incalzato dal ricordo della moglie e dell’amante, entrambe inaspettatamente morte prima di lui, e tormentato dalla presenza del direttore di una rivista di studi a lui dedicata, che cerca di carpirgli un’ultima “illuminante” dichiarazione.
Vitaliano Trevisan
Video per la scena finale dello spettacolo